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01/09/2013
La creatività
dell'interpretare

"Quanto è difficile essere un'icona, una personalità pubblica e una donna?" Così si apre il terzo incontro di Miu Miu Women's Tales, un dialogo improntato sul concetto di creatività tutta al femminile, occasione in cui è stato possibile incontrare straordinarie personalità che hanno raccontato le loro esperienze, le loro idee e la loro storia, in una cornice sovraffollata come quella di un festival cinematografico, dove spesso argomenti come questi fanno fatica a far sentire la propria voce.

Al microfono tre donne: la giornalista sudafricana (International editor di Vanity Fair), artista a tutto tondo, Ingrid Sischy, l'attrice britannica Michelle Dockery protagonista della celebre serie televisiva Downton Abbey e la celebre interprete di The Millionaire, Freida Pinto.

La Sischy, nelle vesti di moderatrice dell'incontro, ha riflettuto circa il ruolo delle due attrici in un mercato cinematografico come quello odierno, fortemente dominato dal "potere e dai soldi", che lascia poco spazio alle idee di natura indipendente.

In una situazione come quella attuale, dove registi e interpreti sono spesso plasmati e incisivamente condizionati dal volere del mercato stesso, un mercato peraltro in mano a pochi, queste donne riescono a trovare lo spazio necessario per esprimere se stesse e dare impulso alla loro creatività?
Questo fenomeno, ingigantito dall'avvento e dal dominio odierno dei social media, si rivela meno pervasivo nel mondo della televisione, dove la recitazione conosce maggiore libertà di espressione e gli attori sono maggiormente liberi di seguire la propria indole. Ciò avviene soprattutto per quanto concerne la figura femminile, che riveste un ruolo di assoluta centralità, cosicché una serie televisiva tutta in rosa quale Sex and the City si rivela essere il frutto maturo di una grande varietà di ruoli che ancora oggi il piccolo schermo assicura all'immagine della donna.

Ciò è parzialmente dovuto alla maggiore disponibilità in termini di budget e di tempo: la stagione di una serie tv, spesso e volentieri seguita da numerosi sequel, permette agli sceneggiatori di assegnare largo spazio agli interpreti per rivelare la propria personalità, un'opportunità talvolta negata dai novanta minuti di una proiezione cinematografica: "noi non godiamo di questo lusso, e ciò è frustrante".

Il mercato del cinema detta i suoi confini, canoni e privazioni qualche volta invalicabili, cosicché "l'essere belle" diventa requisito spesso imprescindibile, le minoranze etniche, come sottolinea Pinto, fanno fatica a trovare uguale spazio, fenomeno scaturito da un'insidiosa tendenza per cui "ci si concentra sull'aspetto e non sull'anima".

In un margine di spazio limitato e limitante le donne protagoniste del cinema del XXI secolo devono talvolta lottare per liberare la loro creatività. "Cosa cambieresti nel mondo del cinema?" È la stessa Pinto a rispondere energicamente: "Vorrei che le persone diventassero meno sensibili alle etnie, perché ho sempre sentito i miei personaggi universali e non circoscritti nei confini di una nazione o del colore della pelle".

Ciò nonostante per le protagoniste la recitazione si rivela essere una "forma di fuga e liberazione", un formidabile espediente per vestire i panni e assumere il volto di qualcuno di diverso, una maschera ogni giorno differente che permette loro di trasformarsi in tanti personaggi dai mille volti e dalle mille sfumature. Recitare dunque, come attuazione della sempre attuale maschera pirandelliana: "Quello che ti ferma nella realtà è la paura di essere giudicata, nella recitazione questo non avviene"; e così che Michelle Dockery ammette di amare perfino la cattiveria che talvolta affiora dal suo personaggio. La recitazione diventa arma di evasione dal quotidiano: una semplificazione che permette di amare, odiare, uccidere o salvare le persone; un artificio che rende capaci di diventare improvvisamente tristi, felici o addirittura ridicoli.
[Roberta Casula]

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